venerdì 31 maggio 2013

CALmolteno per l'ambiente

Sono passati 2 anni dall'accensione del nostro impianto fovoltaico.
Ad oggi abbiamo prodotto 88.000 kilowatt/h di corrente.
Questo significa un risparmio di 38,72 kilogrammi di CO2 immesse in atmosfera, l'equivalente di 16,45 tonnellate di petrolio non bruciate!
Un piccolo contributo per il rispetto dell'ambiente..

martedì 28 maggio 2013

chi domanda una cura?

di Luca Ciusani, psicologo, Accoglienza e lavoro
Quando una persona domanda una cura, o come più comunemente si sente dire in campo sociale, chiede aiuto?
La possibilità di porre una domanda di cura presuppone due condizioni tutt’altro che scontate. La prima è che la persona in questione percepisca che qualcosa nella sua vita la fa soffrire; la seconda è che supponga che un altro la possa aiutare.
E’ spesso attraverso questa via che si producono le domande che si rivolgono agli specialisti del campo della salute, anche mentale. Classicamente è la comparsa dei sintomi ad avere la forza per produrre questo movimento. L’ansia, gli attacchi di panico, i pensieri ossessivi, l’insonnia sono solo alcuni esempi di sintomatologie che hanno un effetto evidentemente spiacevole sulla vita dell’individuo. Queste manifestazioni, come si può facilmente immaginare, sono causa di un malessere che il soggetto percepisce chiaramente come fonte di sofferenza. E’ ed proprio questo “sentirsi male” a spingere il soggetto verso una cura.
Il processo che spinge a porre una domanda di cura si può così schematicamente riassumere:
sintomo ————-> sofferenza ————-> interrogazione ————-> domanda di cura
Ma questa non è l’unica via attraverso cui un soggetto può chiedere aiuto. Ci sono forme di disagio che non vengono esperite dalle persone come tali o almeno non subito. A volte l’esordio di queste problematiche è nascosto, silenzioso. Paradossalmente capita anche che la comparsa di alcune pratiche sintomatiche comporti un apparente miglioramento nella vita del soggetto. E’ quanto avviene, per esempio, quando si presentano dei disturbi alimentari quali l’anoressia. Spesso le donne vittime di questa pericolosissima patologia, riferiscono di essersi sentite all’instaurarsi del regime anoressico, molto efficienti, magari di aver migliorato il proprio rendimento scolastico o le proprie prestazioni sportive.
Non diversamente nell’ambito della tossicodipendenza, molto frequentemente all’inizio l’assunzione di droghe o alcool si accompagna, nella percezione del soggetto, ad un miglioramento delle proprie capacità relazionali, un antidoto contro la timidezza.
Sono questo genere di situazioni quelle che, a mio parere, meritano un ulteriore riflessione. Ciò che si osserva è che in questi casi il soggetto arriva a domandare una cura quando la situazione è molto compromessa. Non solo, spesso la domanda che viene infine posta non riguarda tanto una cura in senso psichico, ma riguarda aspetti molto più concreti, reali. A titolo di esempio si pensi alla questione del gioco d’azzardo, è molto più frequente che una persona si rivolga ad un assistente sociale dopo aver perso ogni suo avere, piuttosto che ponga una domanda di cura ad uno psicologo.
Riferendoci allo schema precedente è come se l’assenza della percezione della sofferenza che il sintomo comporta, impedisse l’interrogazione sul senso del sintomo stesso e quindi rendesse inutile la domanda di cura.
sintomo ———> sofferenza —–/——> interrogazione —–/——> domanda di cura
Credo sia necessario a questo punto porre una domanda: cosa si può fare di fronte a queste situazioni? Come porre la questione della cura quando il soggetto stesso non ritiene di necessitarne?
Per affrontare queste domande è indispensabile porre la possibilità che un soggetto, in alcune circostanze, non sia in grado di valutare con proprietà la direzione che la sua vita sta prendendo. Più precisamente dovremmo dire che non è in grado di sentire il proprio bene.
Questa considerazione non è volta a togliere o limitare la libertà di scelta sulla propria vita di un individuo, bensì punta a migliorare se non a conservare la vita stessa. Il terreno su cui ci si muove in questi frangenti è scivoloso e incerto e i parametri con cui misurare i propri atti sono piuttosto arbitrari.
L’esperienza dimostra che spesso alcuni comportamenti palesemente sintomatici, vengano percepiti come tali non da chi li mette in atto, bensì dalle persone a lui vicine: il partner, i familiari, gli amici, gli insegnanti. Sono le persone che stanno accanto ad accorgersi che qualcosa non và.
Quando questo accade si apre a mio avviso una possibilità. E’ come se il lavoro di traduzione, di interpretazione che classicamente il soggetto fa sui propri sintomi e che lo spinge ad interrogarsi sulle motivazioni per cui si comporta in una certa maniera, in queste situazioni lo facesse un altro vicino a lui. Alla difficoltà da parte del soggetto di “leggere” il proprio disagio viene in supplenza la lettura da parte dell’altro che gli è vicino.
sintomo ———->    sofferenza        ———–> interrogazione ———–> domanda di cura
(del soggetto)              (del soggetto)                        (dell’altro)                                 (dell’altro)

Dal punto di vista dell’esperienza, si rileva frequentemente che quando un soggetto decide di non curarsi, anche a fronte di patologie severe, il fatto che chi gli sta vicino si accorga prima e si rivolga poi a qualcuno per affrontare la situazione che vede ha degli effetti anche sul soggetto stesso.
Quantomeno così il messaggio di sofferenza muta che alcuni comportamenti portano con sé, non resta inascoltato, ma al contrario gli viene data una parola per esprimersi.

tratto da:www.lecconotizie.com

mercoledì 22 maggio 2013

Come comportarsi di fronte ad una bocciatura?


Bocciatura, come comportarsi?

di Christian Broch, educatore, presidente Accoglienza e lavoro
Come ogni anno, si avvicina il tanto sospirato fine anno per gli studenti. Come comportarsi di fronte alla bocciatura? La domanda che spesso ci si sente porre è sempre più frequentemente questa: “Devo punire o consolare mio figli che non hanno superato l’anno scolastico?”
Si tratta di una domanda complessa su cui occorre porre delle riflessioni preliminari. Ogni caso da visto ed analizzato nella sua singolarità, nella sua unicità.
Tuttavia una domanda chiama sempre una risposta e proverò qui a delineare alcune riflessioni poiché questo è un tema delicato, spesso fonte di tensioni. Nella pratica ho conosciuto genitori . che di fronte alla bocciatura e al come comportarsi verso il figlio – litigare aspramente per questo motivo perché un genitore voleva punire il malcapitato e l’altro invece voleva coccolarlo. IN questo caso, come in molte altre tappe ed inciampi della crescita mamma e papà devono seguire una unica linea.
Il problema, appunto, è quale via sia la più efficace.
Partendo dal presupposto sopra citato che non ci sono ricette facili e uguali per tutti possiamo anche aggiungere tuttavia che alcuni punti fermi invece ci sono.
Da un lato infatti i ragazzi vanno sostenuti psicologicamente. Ma anche puniti, se necessario, in modo costruttivo: inutile costringerli a tre mesi solo sui libri. Utile, invece, inserire la logica della privazione del togliere qualche cosa, ad esempio internet e telefonino per sottolineare la gravità della bocciatura.
Scendendo più nel dettaglio possiamo poi diversificare alcuni tipi di bocciatura: ci sono casi, ad esempio, di ‘bocciature inspiegabili’, di ragazzi dotati che si trovano, soprattutto nel passaggio a scuole di grado superiore, in difficoltà per la prima volta. Questo accade il più delle volte perché lo studente non ha consapevolezza del proprio metodo di studio. Negli anni ha sopperito con le sue capacità alla mancanza di metodo per poi pagarne il prezzo. Questo può portare il ragazzo a vissuti di frustrazione, di non sentirsi all’altezza, di vivere questo fallimento esperienziale, come invece un fallimento esistenziale. In questo caso, pur rimanendo ferma la dimensione della punizione, è necessario un forte lavoro di sostegno ma anche un aiuto per imparare a studiare. Per fare scoprire un metodo di studio efficace.
Altre volte il problema può essere anche legato ad un errore nell’orientamento scolastico, nel passaggio alle scuole superiori. Spesso infatti uscendo alla scuola secondaria non si ha ancora l’idea chiara di quale indirizzo scolastico seguire. Questo è un punto molto importante, preventivo alla bocciature. Bisogna essere fermi nel non accettare la scelta della scuola in base al “la fanno tutti i miei amici”, piuttosto che “si studia meno”. Bisogna provare ad orientare il ragazzo su un possibile interesse, su una possibile passione. E’ questa un’operazione rischiosa ad alto margine di errore. Spesso sbagliamo nell’aiutare i nostri figli ad indirizzare gli studi….
E allora che fare? In questo caso Il primo punto è capire insieme cosa è successo analizzando gli elementi che hanno portato alla bocciatura. In quest’ottica è utile parlare con gli insegnanti approfonditamente evitando, però, l’atteggiamento di chi cerca il capro espiatorio. Quando i genitori hanno la capacità di spiegare ai ragazzi ciò che è avvenuto considerando più le dimensioni interne (capacità, impegno, competitività) invece che esterne (richieste eccessive da parti degli insegnanti), sono di maggiore aiuto”. In fondo, non è un dramma cambiare scuola, dopo un passaggio a vuoto e dopo un lavoro di accompagnamento, forse la scelta è più fondata, più radicale, di segnata sul corpo.
Il passo successivo è “studiare insieme una strategia per affrontare la situazione. Ma è meglio farlo un paio di settimane dopo la pagella. Il ragazzo, infatti, deve avere il tempo di metabolizzare il ‘colpo’ emotivo e pensare”.
In ogni caso l’arrabbiatura di mamma e papà per l’insuccesso “è sana”. Anche se si deve evitare “che il giudizio espresso si concentri sulla persona. Il giudizio, netto e duro, deve limitarsi ai comportamenti (ad esempio: non ti sei impegnato abbastanza) e non sulla persona (sei fannullone). Solo in questo modo è possibile indurre l’idea che cambiare è possibile: il comportamento può essere infatti migliorato, mentre se ci si sente ‘sbagliati’ è più difficile pensare di farcela”.
In ogni caso la bocciatura non va negata.
Una punizione è utile soprattutto nei casi in cui il ragazzo sembra non dare importanza all’accaduto. Ma esagerare, con un rimprovero continuo, può essere controproducente. Più utile, nei ragazzi particolarmente ‘menefreghisti’ “un’esperienza lavorativa, ad esempio. O lo stop a internet, tablet e cellulari, soprattutto se c’è un eccessivo attaccamento a questi strumenti.
Infine uno dei problemi che i genitori devono affrontare di fronte ad una bocciatura, è quello di decidere se far cambiare strada al figlio o se fargli affrontare le sue difficoltà.
Una valutazione che dipende dalla psicologia del ragazzo: Se si tratta di una persona che tende a sfuggire alle responsabilità può essere utile che torni ad affrontare il problema; se invece il problema è di un errore di orientamento tornare sui propri passi è un’opzione da valutare, chiedendo aiuto ad alcuni esperti.
E’ anche per questo che la cooperativa da alcuni anni ha aperto un servizio di consulenza educativa e psicologica “Volta la carta” per il sostegno alla genitorialità e alla famiglia. L’accesso è semplice: basta chiamare il 348.5977.141 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 15.00, risponderà un’assistente sociale che vi potrà fissare un appuntamento con un esperto per capire se possiamo essere utili. Il primo incontro è gratuito (per i cittadini di Molteno e Bosisio Parini, con i quali la cooperativa è convenzionata, il servizio è totalmente gratuito) .


tratto da:
lecconotizie.com

mercoledì 15 maggio 2013

Il gioco d’azzardo in Provincia di Lecco | Lecconotizie: IL quotidiano on line della città di Lecco

Il gioco d’azzardo in Provincia di Lecco

di Angelo Castellani, educatore equipe azzardo ASL Lecco
LECCO – Nel linguaggio corrente, al vocabolo “gioco” vengono normalmente attribuiti vari significati, alcuni dei quali piuttosto diversi tra loro. Con tale termine, però, bisognerebbe prevalentemente indicare: «qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini e adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive».
Questa definizione, tratta dal Vocabolario della lingua italiana della Treccani, mette innanzitutto in risalto le valenze positive del gioco, sottolineando come anche un’occupazione piacevole di questo genere (e non solo una seria applicazione di studio o di lavoro), consenta di rafforzare e di affinare le potenzialità del corpo e della mente.
Non è così per il gioco d’azzardo, per il gioco a soldi. Nel sentire comune quando si parla di gioco d’azzardo il pensiero va ai casinò, al poker, a tutti quei riferimenti soprattutto cinematografici in cui si vedono persone giocare e perdere in un minuto ingenti somme di denaro. Per senso comune non si è portati a considerare azzardo, per esempio, il gioco del lotto, dei gratta e vinci, del Win for Life, delle slot machines o li si considera tali solo in funzione della quantità di denaro o della frequenza di gioco: se gioco un euro alla settimana non è azzardo se gioco 100 euro alla settimana è azzardo, ma il gioco è sempre lo stesso! Cosa si intende allora per gioco d’azzardo? Le caratteristiche che lo descrivono sono tre:
1. Il giocatore mette in palio una posta che consiste in denaro o in un oggetto di valore ( un euro o più non fa la differenza)
2. Questa posta, una volta messa in palio, non può essere ritirata dal giocatore
3. Il risultato del gioco si basa sul caso
Va da sé quindi che qualsiasi gioco in cui si metta in palio del denaro è da considerare gioco d’azzardo. In Italia, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una campagna pubblicitaria fortemente incentivante questo tipo di pratica anche perché consente all’erario (ma non solo) di ricavare ingenti somme di denaro con una sorta di tassazione volontaria. Si pensi che quella del gioco d’azzardo è la terza industria in Italia per fatturato dopo FIAT ed ENI, con un volume che, nel solo 2012, si è attestato sugli 84 miliardi di euro circa.
Secondo una ricerca del 2011, a fronte del grande numero di giocatori cosiddetti “sociali” (circa il 66% della popolazione) per i quali il gioco d’azzardo è solo un divertimento senza apparenti problemi, v’è una percentuale tra questi che sono fortemente a rischio si sviluppare problemi di dipendenza (circa il 6,25%) e un’altra di coloro che già hanno un problema conclamato ( 2,58%).
Se trasferiamo questi dati alla provincia di Lecco, possiamo dedurre che i giocatori sono circa 155.000, di questi 9683 sono a rischio e circa 4000 hanno già un problema considerevole. Va aggiunto che la provincia di Lecco è 19° in Italia per spesa procapite annua su questo tema (solo quattro anni fa era al 42°). Secondo i dati ufficiali ciascun lecchese in un anno usa per il gioco d’azzardo una media di 1398 euro per un totale provinciale di 446 milioni di euro (circa il 4% del PIL provinciale) !!!
Il Dipartimento Dipendenze dell’ASL di Lecco già da anni è attivo su questo campo. In particolare dal 2009 offre la possibilità di trattamento per giocatori e familiari grazie ad un’equipe composta da due educatori e una psicologa. Dall’inizio ad oggi ne hanno usufruito 184 persone (in prevalenza maschi) con un progressivo aumento ogni anno.
Ma questo non è sufficiente. Per questo al Dipartimento ci si è impegnati ad aprirci al territorio nel tentativo di contribuire a formare una cultura di attenzione verso i rischi del gioco e di favorire la nascita di un sistema di intervento complessivo in cui ciascuno fa la propria parte (trattamento, sensibilizzazione, prevenzione). Così ogni anno è stato promosso un Convegno e così, nel 2009, è nato il Gruppo Territoriale Azzardo (composto da operatori dell’ASL, del Comune di Lecco, della Confesercenti, del Centro d’ascolto Caritas, dell’Associazionismo) che ha promosso due campagne di sensibilizzazione (GIOCO A PERDERE).
Ultimo nato è il progetto “Oltre l’azzardo c’è di più”. Grazie al finanziamento concesso dalla Regione Lombardia sulla delibera 2012 delle “Sperimentazioni nell’ambito delle nuove politiche di welfare” e grazie alla collaborazione degli ambiti territoriali e di molti comuni della Provincia abbiamo avuto la possibilità di attivare dei gruppi tematici rivolti alla popolazione generale. All’interno di tali gruppi, condotti dagli operatori dell’equipe azzardo e da esperti, le persone avranno la possibilità di approfondire alcuni temi strettamente connessi al gioco d’azzardo: Economico – Legale – Relazionale – Giochi – Sessualità/affettività.
Chiunque può partecipare, quindi se siete interessati per qualche ragione (personale, familiare, professionale, culturale..) potete prendere contatto con gli operatori per conoscere i luoghi e le date degli incontri.
Chiudo con una massima di Wilson Mitzer: “Il gioco d’azzardo è il miglior modo di ottenere nulla da qualcosa”
Il servizio a cui rivolgersi è il Dipartimento Dipendenze ASL Lecco 0341 482930 – 0341 811036 azzardo@asl.lecco.it . Per il progetto “Oltre l’azzardo c’è di più” il numero è 3669273480.


tratto da:
lecconotizie.com