martedì 13 agosto 2013

gioco d'azzardo. il contributo di Scientific American



Le irrazionali scelte "umane" del piccione giocatore


Diverse specie animali mostrano comportamenti assimilabili al gioco d'azzardo, commettendo gli stessi errori cognitivi in cui incorrono gli esseri umani. La scoperta che questi errori hanno profonde radici evolutive può aiutare a comprendere meglio i meccanismi alla base del gioco compulsivo
di Sandra Upson


 
Il gioco d'azzardo può sembrare un'attività esclusivamente umana: scintillanti slot machine e croupier in camicia bianca inamidata sono quanto di più lontano dal mondo naturale si possa immaginare. Eppure un gruppo di ricercatori, diretti dallo psicologo dell'Università del Kentucky Thomas Zentall, ha deciso di indagare sul rapporto fra animali e gioco d'azzardo: riuscire a identificare negli animali comportamenti irrazionali, e il gioco d'azzardo è uno di essi,  aiuterebbe infatti a scoprire i meccanismi cerebrali su cui si basano.

Secondo gli ecologi di indirizzo comportamentista, spiega Zentall, gli animali non dovrebbero mai giocare d'azzardo perché nel corso di migliaia di anni l'evoluzione ha affinato in modo ottimale la loro capacità di procurarsi il cibo. Gli animali dovrebbero cioè consumare la minor quantità di energia e di tempo possibili nelle attività che richiedono il consumo maggiore di calorie.

Ma non è sempre così. In una recente serie di esperimenti Zentall e colleghi hanno scoperto che i piccioni a volte commettono gli stessi, comuni errori di ragionamento degli esseri umani. Per esempio, mostrano una forte tendenza a scegliere un'opzione rischiosa al posto di una gratificazione più piccola ma più sicura.

In una versione aviaria di un casinò, alcuni piccioni dovevano scegliere tra un guadagno poco probabile di 10 palline di cibo (contro zero) e un guadagno molto probabile di tre sole palline. (Statisticamente, il valore atteso era di due palline nel primo caso e di tre nel secondo.) In un primo momento, gli uccelli hanno scelto la più redditizia opzione a tre palline, ma nel corso del tempo hanno cambiato strategia, tentando e ritentando di conquistarne 10. La ricerca sui giocatori umani rivela una tendenza analoga: i giocatori compulsivi prestano poca attenzione alle loro perdite, tendendo a ricordare le vincite, ma non la frequenza con cui esse avvengono.



Le irrazionali scelte "umane" del piccione giocatore
© Bob Thomas/Corbis
Altri studi hanno dimostrato che i piccioni cadono preda della cosiddetta fallacia del costo irrecuperabile, proprio come gli esseri umani. Capita di restare a guardare un film molto deludente nella remota possibilità che migliori e compensi così l'acquisto del biglietto, o di perseverare in un cattivo affare sperando che la ruota della fortuna giri. Allo stesso modo, i piccioni continuano a impegnarsi in un compito faticoso per guadagnasi uno spuntino piuttosto che passare, a metà dell'opera, a una attività molto più semplice che porta alla stessa ricompensa. "C'è qualcosa di fondamentale in questa tendenza", dice Zentall. "Non è solo un nostro problema culturale, come per esempio la convinzione che si debba finire ciò che si è iniziato."

La settimana scorsa, in occasione del convegno annuale della American Psychological Assocation, Zentall ha presentato una ricerca sulla versione pennuta di un altro bias cognitivo, quello per cui, euristicamente, "di meno è di più". Quando dobbiamo dare rapidamente un giudizio fra due cose, tendiamo a dare maggior peso alla qualità media delle opzioni che abbiamo di fronte piuttosto che alla quantità complessiva. Così, in un famoso esperimento condotto dallo psicologo Christopher Hsee, i partecipanti erano invitati a valutare due collezioni di stoviglie. Una era composta da 24 stoviglie intatte, l'altra conteneva 31 pezzi in buono stato ma anche nove rotti. I partecipanti tendevano a dare un valore più alto al set più piccolo, anche se la seconda opzione conteneva in realtà un numero maggiore di piatti in perfetto stato.



Le irrazionali scelte "umane" del piccione giocatore
© Markus Botzek/Corbis
I macachi rhesus mostrano un comportamento simile. Anche se una fetta di cetriolo non è il loro spuntino preferito, i macachi gradiscono i cetrioli. Eppure, se si trovano a scegliere fra un chicco d'uva più un cetriolo o solo un chicco d'uva, sceglieranno solo l'uva. Come gli esseri umani, le scimmie sembrano scegliere sulla base della qualità media dell'offerta, piuttosto che sulla quantità. Ciò suggerisce che questa scorciatoia cognitiva abbia radici evolutive profonde.

Ma torniamo ai piccioni. Invece che con piatti o chicchi d'uva, i piccioni hanno avuto a che fare con piselli, che trovano deliziosi, e semi di sorgo, meno appetitosi, ma pur sempre graditi. Di fronte all'opzione fra un solo pisello da un lato e un pisello e un seme di sorgo, dall'altro, gli uccelli hanno scelto il pisello e il seme, comportandosi in in modo apparentemente più razionale rispetto agli esseri umani e alle scimmie.

Per studiare meglio questo comportamento sorprendente, i ricercatori hanno suddiviso i piccioni in due gruppi, per vedere se il livello di fame degli uccelli potesse avere un ruolo. Quando i piccioni erano più affamati, facevano la scelta ottimale, scegliendo il pisello più il seme, ma quando avevano solo un po' di appetito, improvvisamente si comportavano come gli esseri umani, scegliendo il solo pisello. "Se è davvero importante, scelgono la quantità”, spiega Zentall. "Se non sono così affamati, scelgono invece la qualità."

Zentall ipotizza che per tutte le specie possa essere più facile, ossia più veloce, giudicare la qualità che la quantità. Nei piccioni selvatici, perennemente in competizione con i loro compagni pennuti, l'uccello che reagisce più rapidamente alla vista del cibo ha maggiori possibilità di conquistare il boccone. I nostri antenati probabilmente hanno dovuto affrontare pressioni simili.

Ma perché i piccioni a volte sembrano batterci? Zentall suggerisce che la risposta sia la motivazione. I nostri pregiudizi cognitivi non sono regole di comportamento inviolabili, ma tendenze che si rivelano quando si prendono decisioni rapide. Quando gli esseri umani sono sottoposti a test in laboratorio, la posta in gioco è in genere molto bassa. In presenza di una motivazione sufficiente, anche noi diventiamo più propensi a pensare sulla base di uno scenario e a fare la scelta migliore.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 5 agosto. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

venerdì 9 agosto 2013

VIDEO "FARSI UN CORPO"

Ecco il video "farsi un corpo" che è finalmente anche on-line.
Ricordiamo che il nostro video è stato selezionato come film fuori concorso nell'horcynus film festival.
buona visione a tutti

parte 1: www.youtube.com/watch?v=uPZArtH4jUo

parte 2: www.youtube.com/watch?v=BKZLusex5MI

parte 3: www.youtube.com/watch?v=bx4DIqL3Su4





mercoledì 7 agosto 2013

Integrazione sociale e sport. Il progetto “è solo un gioco, è solo un sogno”


di Christian Broch, educatore, presidente Accoglienza e Lavoro Molteno
Lo sport è uno straordinario veicolo per la socializzazione, per favorire l’inclusione sociale, per accorciare le distanze tra le persone provenienti da ambiti lontani (geografici, culturali, religiosi).
Per quanto mi riguarda, la prima esperienza in questo campo è nata molti anni fa in Trentino, a Mis Sagron uno dei comuni più piccoli e sconosciuti d’Italia, dove ancora oggi la neve non cade firmata. La base è semplice; un canestro appeso ad una recinzione (basso e sgangherato), 2 palloni, un gruppo di bambini di varie età e di varie provenienze, un istruttore.
E’ nato per necessità più che per scelta, era impossibile divedere i bambini per età visto il numero esiguo, era impossibile anche pretendere un campo vero. Quel canestro, quei due palloni ci erano stati dati e con questi occorreva arrangiarsi.
Da queste premesse è nata un’esperienza che è durata parecchi anni e che ha lasciato un segno profondo in chi ha partecipato. Non un segno sportivo, non si sono creati campioni, neppure mezzi campioni. Nessuno ha fatto basket agonistico.
Si è creato Altro. Un gruppo, un gruppo vero.
All’interno di quella comunità locale, si è verificato uno scatto di coesione sociale. A distanza di più di 20 anni, queste relazioni continuano… tra i partecipanti, tra le famiglie dei corsisti.
Ho provato molti anni dopo a replicare lo spirito di questa avventura. E’ avvenuto in una scuola di Giussano che si è mostrata interessata e disponibile alla sperimentazione di qualche cosa di diverso, a provare a dare allo sport una coloritura diversa.
Sono ormai 2 anni che il progetto “è solo un gioco, è solo un sogno” raduna quasi 50 bambini di età, vissuti, provenienze geografiche differenti.
L’idea di base è quella che grazie all’esca del gioco-sport, provare a promuovere e di favorire la socializzazione, la coesione l’inclusione sociale.
Per questo motivo è difficile definire che cosa sia davvero questo progetto e questo perché si muove su una linea di confine, si articola su una zona che si potrebbe definire di prossimità: non è infatti un progetto di sport, non è neppure uno progetto di gioco. E’ tutte e due insieme e allo stesso tempo nessuno dei due. E’ un progetto che ibrida lo sport e il gioco con la socialità.
Un progetto che tenta di annodare singolarità e alterità, nel senso più ampio del termine. Un processo che generi integrazione sociale. Vera.
Questa è la scommessa di questo “sogno”: avvicinare dei bambini e le loro famiglie per sviluppare – attraverso il gioco sport – processi di community care per consentire un’inclusione e una valorizzazione di tutti i soggetti coinvolti. Attraverso un piccolo progetto di gioco-sport si mira cioè a concretizzare alcune linee guida individuate già dalla legge 328/2000 e ribadite con maggior precisione dalla Regione Lombardia nel nuovo Piano Socio-Sanitario.
Il progetto si svolge in tre gruppi di massimo 15 partecipati (si sono saturati in pochi giorni i 45 posti disponibili) all’interno della palestra della scuola elementare per favorire l’accoglienza dei bambini più piccoli.
L’attenzione all’aspetto socializzante e il tenere al livello minimo consentito l’aspetto agonistico consente a tutti i bambini, anche a quelli che trovano poco spazio e fanno fatica ad emergere nelle attività agonistiche o semi-agonistiche di soddisfare il proprio bisogno di scarica motoria in un contesto di competizione bassa, ottimo per non alimentare processi ansiogeni. In questo modo si ha la possibilità di porre attenzione a tutti, anche a coloro che non hanno un talento sportivo eccezionale, ma che come tutti necessitano di momenti di attività fisica.
Per questo motivo il gruppo – diretto dall’educatore – è fortemente impostato per rispondere ad una logica inclusiva, nel quale le specifiche (sia i talenti, sia i limiti) di ogni singolo partecipante dovranno essere inglobate e valorizzate dal gruppo.
All’interno del corso, oltre alle attività di gioco che insegnino i rudimenti della pallacanestro si mettere particolare attenzione al fare sperimentare gli allievi con le regole e le limitazioni sono solo dello sport ma anche della vita di gruppo.
Ogni anno viene steso dal gruppo dei partecipanti, insieme all’allenatore/educatore un regolamento interno al quale tutti si debbono attenere. In questo modo si spinge ogni bambino a portare qualche cosa di sé e di confrontarlo con il resto del gruppo.
Alle famiglie viene chiesto di partecipare in modo attivo ad alcune attività previste: un open day nel quale giocare insieme ai bambini, la preparazione di alcune merende che consentano di scoprire gusti provenienti da culture diverse (cibi preparati da alcuni genitori stranieri), la partecipazione di incontri a tema.
Inoltre grazie alla sensibilità e all’attenzione della Pallacanestro Olimpia Milano i bambini e le famiglie hanno potuto assistere ad una partita di serie A all’interno della scuola del tifo, dove si impara a sostenere la squadra con passione e con la guida di educatori professionali.
In questi due anni i risultati ottenuti a livello di ritenzione nel progetto sono altissimi. Nel corso dell’ultimo anno su 45 iscritti solo 2 bambini si sono ritirati dal corso (uno ha cambiato scuola). I bambini che si portavano dietro le stimmate del disagio scolastico (certificazioni di ritardo mentale, di disturbi dell’attenzione, di iperattività) hanno trovato in questa ambito un momento di sfogo e di “pregiudizio positivo” (come ha scritto bene Gianni Ghidini della Fondazione Laureus); si sono sentiti parte di un gruppo, valorizzati nei loro aspetti positivi, messi al centro di un processo non di cura delle sue pecche, delle sue difficoltà, ma delle sue attitudini, dei suoi punti di forza.
Paradigmatica la storia di R. che in questo contesto ha trovato una sua collocazione, uno suo posto, e che grazie all’aiuto dell’allenatore e dei suoi compagni è riuscito a canalizzare la sua iperattività in campo vedendo migliorato il suo stare in gruppo e poi anche se in misura minore anche il rendimento scolastico.
Il progetto è necessario a D. che con il suo ritardo mentale e i suoi problemi psico-fisici non riusciva a trovare uno sport di squadra nel quale poter stare. Sono 2 anni che partecipa e tutti la ricordano per il suo sorriso non per i suoi limiti, le sue difficoltà.
Così come loro altri bambini e bambini “normali” che hanno aiutato i più piccoli, i più in difficoltà hanno portato a casa tanto da questo progetto… hanno provato che il rispetto, la tolleranza, il vedere il positivo nell’Altro sono cose possibili e belle da vivere.
Nel suo piccolo, questo progetto rappresenta un laboratorio che cerca di restituire ai bambini e alle bambini, la magia del giocare insieme, del confrontarsi e del crescere divertendosi. Si vuole dare loro la possibilità di poter sognare, anche se solo per poche ore la settimana. Sperando che con il tempo qualche cosa resti, qualche cosa si sedimenti e germogli.
Perché lo sport – come ci ricorda Pierre De Coubertin – “è una possibile fonte di miglioramento interiore”.

martedì 6 agosto 2013

the news face of heroin

pubblichiamo un articolo interessante pubblicato su giornale americano mail on line che parla del nuovo modo di usare eroina.


Heroin abuse in the U.S. has skyrocketed in the last five years, and a large share of new users are 18- to 25-year-olds living in suburban or rural environments.
The death of clean-cut Glee star Cory Monteith in July of a heroin overdose shocked fans and shone a spotlight on the new generation of addicts.
Often thought of as the habit of inner-city junkies that faded after its mid-nineties heyday, heroin use is experiencing a terrifying resurgence.
Shock: Fans of Glee were horrified when the clean-cut star of the show, Cory Monteith, was found dead in a hotel room of a mixture of heroin and alcohol toxicity
Shock: Fans of Glee were horrified when the clean-cut star of the show, Cory Monteith, was found dead in a hotel room of a mixture of heroin and alcohol toxicity

The Substance Abuse and Mental Health Services Administration (SAMHSA), documented an alarming 80 percent increase in first use of heroin among 12- to 17-year-olds since 2002.
Over the past five years, seizures of heroin in the United States by the Drug Enforcement Administration have gone up more than 50 per cent, from 1,334 lbs in 2008 to 2,059 lbs in 2012.
Heroin use in the U.S. rose an alarming 75 per cent between 2007 and 2011, according to the Substance Abuse and Mental Health Services Administration.
And with heroin use comes heroin overdose.
Caroline Kacena of Naperville, Illinois, lost her son, John, to a heroin overdose on July 23 2012. He was 20 years old.
'He told me he was doing heroin for four months before he knew it was heroin,' his mother Caroline Kacena told CBS.
Suburban teen: John Kacena grew up playing hockey and baseball and was a Boy Scout, before he turned to heroin
Suburban teen: John Kacena grew up playing hockey and baseball and was a Boy Scout, before he turned to heroin

'We were the quintessential American family - baseball, hockey, Boy Scouts,' she said.
'I worked at the local school, so it allowed me to be at home with my kids. I had my summers off. So I did everything right. I did everything I was supposed to.'
Heroin most often kills by causing respiratory failure. An overdoes causes the breathing to slow, and eventually stop entirely. This effect is especially

Public health experts link the surge in heroin abuse to the over-prescription of highly addictive pain medications such as Vicodin and Oxycontin, which act as gateway drugs.
A recent survey by DrugFree.org shows one in four high school students have abused prescription pain medications like Vicodin and Oxycontin, up 33 per cent in just five years.
The widespread abuse of ­prescription painkillers has been on the radar of public health officials and law enforcement officials for years.
In 2009, 257 million prescriptions for opioid painkillers - derived from the opium poppy, like heroin - were dispensed nationwide, almost one per person, according to a 2011 White House report
According to the Center for Disease Control, there has been at least a 10-fold increase in the medical use of opioid painkillers during the last 20 years because of a movement toward more aggressive management of pain.
The euphoric effect associated with opioids has led to misuse and abuse of the widely available drugs.
New generation: Cory Monteith joined a long line of tragic heroin-overdose deaths among young and talented people, including River Phoenix, Janis Joplin and Jim Morrison
New generation: Cory Monteith joined a long line of tragic heroin-overdose deaths among young and talented people, including River Phoenix, Janis Joplin and Jim Morrison

In 2007, the number of deaths involving opioid analgesics was 1.93 times the number involving cocaine and 5.38 times the number involving heroin.
Pill-popping: Almost one prescription for drugs like Oxycontin are dispensed each year
Pill-popping: Data shows that legal pain medications such as Oxycontin are gateway drugs for heroin

Cory Monteith’s battle with drug addiction began, like so many heroin addicts, in his teen years.
Monteith underwent rehabilitation for heroin addiction as a 19-year-old, south treatment again in April of this year.
Susan Foster, vice president of CASAColumbia, a substance-abuse research center at Columbia University in New York told the Christian Science Monitor that 95 per cent of addictions start with substance abuse in the teen years.
In 2010 Purdue Pharma brought a new, more difficult to abuse form of Oxycontin onto the market. The pill could no longer be crushed for snorting or dissolved for injecting, and took longer to act.
The demand for prescription painkillers meant that their street value went way up, to up to $80 a tablet, according to law enforcement agency data.
On the other hand, heroin costs just $10 a bag.
In a study published in 2012 by the New England Journal of Medicine, 66 per cent of Oxycontin addicts moved on to heroin after the reformulation of the drug.
John Kacena and his friends grew up close, playing baseball, hockey and joining the scouts together. They began using heroin together in their freshman year of high school.
At the time of his death, Kacena had been clean for a few weeks and had spoken about going to college.
'I woke up in the morning,' Kacena told CBS of the July day John Kacena died.
Cheap habit: In contrast to prescription painkillers, a bag of heroin has a street value of about $10
Cheap habit: In contrast to prescription painkillers, a bag of heroin has a street value of about $10

'I opened up his door. And I found my son sitting up in his bed, cross-legged, but slumped completely over. I could tell the moment I opened up the door by the position that he was in that he was already gone.'
Caroline Kacena has been lobbying for changes that could help save someone else's son or daughter.
Kacena wants a nationwide 'Good Samaritan law' that would mean anyone with a person who's overdosing could call 911 without fear of arrest.
Another change Kacena is calling for is to make Naloxone, a drug that can neutralize the effect of heroin and avert an overdose, available over-the-counter.
Public health officials hope the reigning-in of prescription drugs will prevent future addiction and consequent shift to heroin use.
In the meantime, a new generation of heroin addicts has emerged, and only time will tell what their futures hold

Read more: http://www.dailymail.co.uk/news/article-2385041/The-new-face-heroin-Affluent-teenagers-suburbs-taking-heroin-alarming-numbers.html#ixzz2bAefsh2G
Follow us: @MailOnline on Twitter | DailyMail on Facebook

giovedì 1 agosto 2013

Perde l’azienda giocando a videopoker e deve licenziare 10 dipendentI: ECCO PERCH' DICIAMO NO SLOT


TREVISO – La sua azienda aveva cominciato ad andare male, colpita come molte altre dalla difficile congiuntura economica. Solo che lui anzichè rimboccarsi le maniche ha preferito confidare nella fortuna, ed in particolare nei videopoker. Sperando in questo modo di risolvere i suoi problemi e risollevare le sorti della sua piccola azienda. Così alla fine ha speso ogni centesimo, facendo fallire l'azienda e mettendo in strada dieci dipendenti. Quella dell'imprenditore di un Comune dei dintorni di Treviso è solo una delle tante storie approdate al Servizio dipendenze dell'Usl di Treviso. «Cercava di risolvere i problemi e di risollevare i bilanci dell'azienda giocando – ha spiegato il primario del Sert, Germano Zanusso – ma ha speso tutte le riserve che aveva a disposizione». Un'escalation che non ha permesso, al suo arrivo al Sert, di porre rimedio ad una situazione già compromessa. E ad aggravare i casi, come registra l'Usl, ci sarebbe proprio la crisi che spinge chi è già in difficoltà a spendere le poche monete che rimangono per scommettere sulla possibilità di sistemarsi per sempre. Ma mentre nei giocatori matura la convinzione di poter agganciare vincite facili, il Sert di Treviso dal 2009 ad oggi continua ad avere un incremento esponenziale di pazienti. Numeri impressionanti passati in meno di cinque anni da 4 a 92. A finire stritolati dall'azzardo nella convinzione prima di sistemarsi per sempre, poi solo di ripianare il buco creato con il gioco, non ci sono solo gli imprenditori, ma anche le madri di famiglia. «Il caso che mi ha colpito di più è quello di una mamma arrivata a rubare dal salvadanaio della figlia – continua Zanusso – per giocare. Proprio quando la figlia l'ha scoperta ha capito che quella passione e quel brivido erano diventate una patologia ed ha deciso di rivolgersi a noi».