di Riccardo Carlo Gatti, Medico, Psicoterapeuta e Specialista in
Psichiatria, Direttore del Dipartimento delle Dipendenze della A.S.L.
di Milano
(articolo tratto da: www.droga.net)
Leggiamo: “Oreo, il biscotto neroe bianco formato da due amaretti a
sandwich, crea dipendenza”. Uno studio dell’Universita’ del Connecticut
pubblicato lo scorso 15 ottobre spiega il meccanismo della dipendenza
per alcuni alimenti zuccherati e grassi. Nello studio, diretto da Joseph
Schroeder, professore di neuroscienze, con l’aiuto di studenti
13/15enni, due gruppi di topi sono stati separati. In un gruppo, i topi
potevano scegliere, alla fine di un labirinto, tra degli Oreo e dei
dolci di riso e potevano utilizzare tutto il tempo che volevano. Nel
secondo gruppo, cosi’ come
prima, ma la scelta era tra della droga (morfina o cocaina) e una
soluzione di acqua salata. Risultato: i topi del primo gruppo hanno
passato la maggior parte del tempo vicino ai biscotti al cioccolato
mentre quelli del secondo gruppo dove c’era la droga. Gli Oreo sono
allora desiderati cosi’ come avviene per la cocaina?” (tratto da ADUC).
Forse qualcosa non funziona nella traduzione dell’articolo o nel
ragionamento. Così come è mi sembra che i topi preferiscano i biscotti
ai dolci di riso e la droga all’acqua salata ma forse non ho capito
bene.
Esiste anche un’altra versione della notizia: The study, which will
be shown at the Society for Neuroscience’s annual conference next month,
involved placing an Oreo cookie on one side of a maze and a rice treat
on the other. The rats spent most of their time going for the Oreo. The
researchers also performed a similar test, but instead of an Oreo cookie
they replaced it with morphine and in another test they used cocaine.
In both cases the rats preferred the narcotics to the rice cake. (Fonte
DotTech.org) (Lo studio, che sarà presentato alla conferenza annuale
della Società di Neuroscienze il mese prossimo, consisteva nel mettere
un biscotto Oreo su un lato di un labirinto e una delizia di riso,
dall’altro. I ratti hanno trascorso la maggior parte del loro tempo per
raggiungere il biscotto Oreo. I ricercatori hanno eseguito anche un test
simile, ma hanno sostituito il biscotto Oreo con la morfina e in un
altro test hanno usato cocaina. In entrambi i casi i topi preferivano i
narcotici alla torta di riso
L’esperimento, quindi, potrebbe anche dimostrare che, a quei topi, non piace la torta di riso.
Naturalmente bisognerebbe leggere lo studio per capirne qualcosa di
più ma la maggior parte delle persone che hanno ricevuto la notizia dai
media non lo leggeranno mai e ricorderanno solo che la cocaina … è come i
biscotti: piace anche ai topi.
Il tutto fa parte di comunicazioni che hanno il risultato complessivo
di “sdoganare” sempre di più le droghe all’interno di un insieme di
notizie che ci bombardano, facendoci credere che siamo tutti dipendenti
da qualcosa.
Così, lo zucchero, improvvisamente, diventa pericoloso come la
cocaina mentre vengono proposti sul mercato dolcificanti, derivati da
piante coltivate, che costano quanto quella droga. Ogni giorno scopriamo
che la cannabis fa bene a una malattia diversa in modo che,
riassumendo, ci si ricordi che fa bene e basta o, almeno, non fa male.
Per le altre droghe siamo ufficialmente tranquillizzati dal Governo
rispetto al fatto che il loro uso diminuisce (salvo che, guarda caso,
per la cannabis) mentre, marginalmente, ci si accorge che ce ne sono
sempre più sul mercato. Chi mai le userà?
Che succede, dunque? A mio parere siamo in una fase speculare a
quella che, a fine anni ’80 – inizio anni ’90, vedeva le droghe come un
male assoluto. Allora la comunicazione spingeva alla mobilitazione
contro questo male, trasformava in eroi tutti coloro che lottavano
contro la droga e chiedeva allo Stato di fare di più. Oggi, in Italia,
tutta l’attenzione è spostata sulla “ludopatia”, sul gioco d’azzardo
patologico, e gli Amministratori fanno a gara anche per limitare
fisicamente la presenza delle SLOT machine. Evidentemente si pensa che
solo la loro presenza possa portare molte persone alla rovina. Gli
spacciatori di droga, invece, sono dappertutto (anche sulla Rete) ma
questo, in termine di mobilitazione politico – sociale, sembra
diventato, improvvisamente, un problema minore. Evidentemente il
ragionamento è che ad una macchinetta mangiasoldi non si resiste mentre
le droghe sono come i biscotti: si possono mangiare e, con un po’ di
attenzione, si riesce anche a mantenere la linea. Nel frattempo gli
esperti che sparano, ormai, percentuali tra il 2 ed il 6 % della
popolazione per ciascuna dipendenza, sembrano complessivamente voler
dimostrare che il problema non è la dipendenza, che, a far le somme
riguarda tutti, ma come viene vissuta.
Tutto ciò avviene nel mondo occidentale, quello, per intenderci, che
direttamente o indirettamente gravita attorno all’influenza degli Stati
Uniti. Difficile dire se ci siano connessioni, ma effettivamente, negli
USA, in tema di tossicodipendenze, c’è stata una sorta di rivoluzione da
quando i decessi per l’abuso di farmaci hanno superato quelli di eroina
e cocaina messe assieme e da quando l’atteggiamento proibizionista di
alcuni Stati, rispetto alla Cannabis, è cambiato. Il tutto rende il
fronte della “guerra alla droga” come quelle linee fortificate che,
mantenute per anni perfettamente attive e funzionanti, hanno una
apparenza minacciosa e consistente, sino a quando non vengono aggirate,
diventando, improvvisamente, inutili perché il fronte non sta lì dove
sono state costruite ma … da un’altra parte.
Il problema è che sulla linea fortificata di questa guerra noi
abbiamo schierato tutto, compreso il sistema di cura costituito da
Servizi Tossicodipendenze e Comunità Terapeutiche che, non per nulla,
qualcuno considera parte più di un sistema di controllo sociale che di
intervento terapeutico. Aggirato il fronte della guerra alla droga ed in
tempi di Spending review, la tentazione di considerare anche questa
parte del tutto come qualcosa di superato e inutile si farà forte.
Prima o poi qualcuno si chiederà a che servono Ser.T. e Comunità
terapeutiche e la risposta non sarà più così scontata come un tempo. In
questo caso, ad esempio, più che le ideologie conteranno i risultati.
Oggi, senza dubbio, il sistema delle dipendenze è ingaggiato soprattutto
sul tema della cronicità ed in questo non c’è nulla di strano. In
generale il Servizio Sanitario Nazionale spende la maggior parte delle
sue risorse per la cura di patologie croniche. Il rischio, tuttavia, è
che, gradualmente, il sistema delle dipendenze, aggrappato alla
cronicità, perda la sua funzione di cura, mantenendo quasi
esclusivamente quella di contenimento e di assistenza dove, forse,
organizzazioni diverse da quelle tipiche della cura, potrebbero avere
una migliore efficacia di intervento.
Insomma, una volta crollato il fronte della “guerra alla droga”,
Ser.T. e Comunità potrebbero avere ancora senso all’interno del Servizio
Sanitario Nazionale solo dimostrando i loro risultati in termini di
cura. Il problema è che, attualmente, hanno grandi difficoltà a farlo.
Salvo eccezioni non sono, infatti, “culturalmente” pronti ad una prassi
operativa che comprenda l’esplicitazione delle performance reali in
questo senso. La stessa teoria “scientifica”, per anni recitata a
memoria e solo recentemente messa parzialmente in discussione, che la
tossicodipendenza sia una patologia cronica e recidivante, non ha
aiutato.
Che accadrà dunque? Si rinuncerà a costruire una “clinica delle
dipendenze patologiche” in dinamico divenire e ci si limiterà a curare
chi ha patologie mentali gravi che comprendono una dipendenza? Tutto ciò
che ha a che fare con prestazioni educative o assistenziali uscirà
dall’ambito di azione del Servizio Sanitario? Al momento è difficile
dirlo anche se alcune linee di tendenza in questa direzione sembrano
delinearsi. Certamente il settore sarà chiamato a ridefinirsi ed a
rendere conto internamente ed esternamente in modo più preciso e
dettagliato di ciò che fa, di come lo fa e con quali risultati.
Vedo il tutto come qualcosa di irrinunciabile e positivo.
L’importante è che durante questo percorso le ragioni ideologiche,
politiche ed economiche esterne al sistema che ne hanno determinato
l’esistenza in tempi di guerra alla droga non ne determino, ora, la
dismissione con il cambio di strategie che nulla hanno a che fare col
curare o con il prendersi cura. Leggendo tra le righe di notizie che
paragonano la cocaina ai biscotti e che ogni giorno inventano una nuova
patologia scopriamo che le dipendenze patologiche e l’abuso di sostanze
non sono certo in contrazione ma rivelano nuovi drammatici risvolti che
di volta in volta, di luogo in luogo, sono più o meno considerati in
virtù di ragioni politiche e di interessi commerciali non sempre chiari
ma, purtroppo, determinanti. Forse lo zucchero sarà anche peggio della
cocaina ma la notizia non può nascondere il problema reale che negli
Stati Uniti le morti per farmaci antidolorifici oppiacei abbiano
superato quelle di cocaina ed eroina messe assieme. Invece, siamo
distratti dai biscotti e per essere più precisi, dalla crema che
contengono che, evidentemente, piace molto ai topi ma anche ai media e
magari anche a ciascuno di noi.
Concludendo: abbiamo parlato di guerra alla droga di nuove politiche e
del destino del sistema di intervento e, forse, ora non avete voglia di
ulteriori ragionamenti e nemmeno di droga o di farmaci antidolorifici
ma, magari, di biscotti … si. Per questo la comunicazione è una delle
anime del commercio e contribuisce anche a definire i nostri desideri,
le nostre decisioni e le nostre azioni. L’importante sarebbe riuscire a
capire a favore di chi o di cosa … ma questo è un altro discorso. Forse.
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